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L’ECONOMIA ITALIANA NON CRESCE

Storicamente possiamo collocare l’inizio dell’ immobilità economica del nostro Paese da quando il  Pil cinese, misurato in volumi a prezzi correnti, ha superato il nostro o, se si preferisce, dal debutto dell’euro. In questa fase la crescita economica italiana cumulata è stata del 2,8% contro il 22,2% dell’Eurozona o il 27,1% dell’Ue28 ed, inoltre, nei 18 anni passati la variazione media annua del Pil italiano ha oscillato attorno allo 0,2%, contro l’1,2-1,4% dell’Europa.

Fin qui nessuna novità visto che la stagnazione è secolare per tanti paesi, anche se la nostra lo è un po’ di più: la produttività totale, come quella del lavoro e del capitale (calcolate separatamente), è ferma dalla metà degli anni Novanta.
Una crescita bassa non significa però che nulla è cambiato nella composizione del valore aggiunto misurato e negli aggregati della contabilità nazionale Istat.
L’industria manifatturiera, che nel 2000 pesava il 20%, dopo le recessioni del 2007-2013 e il processo di selezione che ne è seguito vale ora il 15%.
Il grande settore dei servizi è cresciuto passando da 70 al 74% del valore aggiunto, ma il suo traino non sono stati i comparti del commercio, i servizi finanziari o quelli legati alle Tlc (consumiamo solo prodotti esteri) bensì componenti come i servizi domestici alle famiglie, la cui domanda è esplosa con l’invecchiamento della popolazione in un modello di Welfare all’italiana ben lontano dalle strutture di offerta nordeuropee o angloamericane.

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