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Spunti di riflessione

 

La politica della percezione soffoca le radici della democrazia

In teoria sappiamo fin dagli anni 60 del secolo scorso che i mass media e oggi anche i social media sono strumenti di potere, nel senso di governo delle menti. Dal momento che imprigionare le menti è meno visibile e cruento dell’imprigionare i corpi e che dominare con redini comunicative è meno violento del dominio delle armi e della forza fisica, questi strumenti di potere (non nuovi, anche nell’età classica la retorica e la persuasione attraverso discorsi sono state considerate tali) convivono bellamente (nei nostri paesi affluenti benché sempre più iniqui) con la convinzione di vivere in una democrazia liberale. 

Se accettiamo che la democrazia ha radici nella libertà di pensiero (così almeno nacque del 700 illuminista), allora ci troviamo in un certo imbarazzo a mantenere quella serena convinzione di essere liberi (pensatori) cittadini che vivono in una democrazia liberale. Perché? Perché il nostro ragionare autonomo (libero pensiero) dipende dai “fatti” di cui disponiamo e dalla lente (criteri di interpretazione) che usiamo per “vederli” meglio. E qui sta il busillis: i “fatti” su cui basiamo le nostre idee sulla società, ma anche sui nostri bisogni, sul nostro destino umano, non sarebbero per noi disponibili direttamente. Ci siamo abituati (siamo stati abituati) a pensare che viviamo in un mondo globalizzato in cui tutto è interdipendente, e che non possiamo certo farci una idea della “realtà” basandoci “solo” su ciò che direttamente viviamo, esperiamo, sentiamo. Secondo questa narrazione con-vincente (nel senso che vince perché è ripetuta da tutti e accettarla ci integra nella massa da cui non vogliamo sentirci esclusi pur rifiutando energicamente la “massificazione”…) la “realtà personale” riguarda le relazioni e i sentimenti, il “privato affettivo”: va bene per la consolazione e l’evasione e i giochi emotivi ma non ha a che vedere con “quello che succede nel mondo” globale ed “oggettivo”. E il mondo oggettivo e globale lo conosciamo attraverso l’informazione, ovviamente: dunque mass media, social e internet. Ciò significa che la percezione che abbiamo della “realtà” deriva dall’informazione che ci perviene da vie indirette mediatiche: curioso che i “media” (mezzi, significato originario) siano oggi piuttosto “mediatori”: del rapporto con gli altri, del rapporto con noi stessi, del rapporto con la realtà.
Ma la nostra percezione, insegna da più di un secolo la psicologia scientifica, è governata dall’attenzione, da dove dirigiamo lo sguardo (non possiamo fisiologicamente vedere “tutto” nello stesso tempo, abbiamo una capacità limitata di attenzione). E la direzione del nostro “sguardo” è guidata da due forze poco razionali e poco consapevolmente gestibili: le abitudini (gli automatismi degli schemi interiorizzati) e le emozioni (i bisogni e le paure affettive che urgono soddisfazione o sedazione).
Il fatto è che la mediazione dei media, dei social e del web riesce sia a generare gli schemi-abitudini che a far emergere le emozioni desiderate. I primi consistono in realtà nel palinsesto: si parla molto e prioritariamente di alcuni temi, meno di altri, e per nulla di altri ancora. E non venitemi a dire che i social sfuggono a questa regola: anche lì esistono palinsesti, temi di successo e di inclusione relazionale, e altri rimossi o emarginati. Solo con altri criteri e dinamiche (ne parleremo in altro momento).
Quanto alle emozioni è il gioco dei toni, dell’enfasi, delle immagini e l’anticipazione delle conseguenze (quindi i modi e lo stile della meta-comunicazione che accompagna i contenuti comunicati) a sollecitare emozioni e affetti in un senso o nell’altro. La pubblicità per esempio usa modalità che solleticano aspettative e desideri offrendo una scorciatoia facile per soddisfarli (pagando, s’intende). La cosa simpatica è che tutti ormai diciamo di conoscere bene questo meccanismo di marketing, quasi lo consideriamo uno di famiglia, e il tutto continua serenamente a funzionare come sempre… anche questo è un interessante fenomeno.


Ma vediamo un caso attuale e drammaticamente “politico” di questo meccanismo così ben conosciuto da essere tranquillamente ignorato.
(nb: da qui può leggere anche chi ha urgenza di qualcosa di cui parlare subito, magari per dichiarare un rumoroso disaccordo)


Il tema dell’immigrazione di certo monopolizza, nei paesi occidentali (e noi siamo ben in alto in questa classifica), i media e i social. Una parte politica emergente e vincente (non solo da noi) pone questo tema al centro dell’attenzione: lo sbarco di immigrati (presentato sottotraccia come una invasione latente di “diversi da noi” “potenzialmente nemici”, come nel caso “dei mussulmani”).
Al punto che ormai gli occhiali con cui siamo invitati a guardare il mondo fin dai giornali radio del mattino consiste essenzialmente in tre cose: l’andamento del pil e del debito, gli sbarchi di immigrati, il pettegolezzo sui litigi dei genitori (i nostri governanti). A buona distanza seguono la cronaca nera (che accentua il senso d’insicurezza, assieme agli immigrati che ci stanno soffocando), il voyeurismo verso divi e personaggi pubblici, e qualche immaginetta di quel papa che i media trattano un po' come un babbo natale buono ma oleografico.
La cosa interessante è che il “fatto” dell’immigrazione evidenzia la grande distanza tra percezione e realtà, e soprattutto la non disponibilità ad accettare i “dati oggettivi” ricavati secondo i criteri che hanno generato il metodo scientifico. Che sarà di certo migliorabile e discutibile, a patto di proporre qualcosa di meglio sulla base di criteri espliciti e verificabili. Altrimenti il modo in cui si è svolta la “pseudo discussione” sui vaccini o quello che sta accadendo per le diete miracolose che fanno vivere 120 anni diventerà il nuovo medioevo mentale.
Ripropongo qui quanto si diceva in un articolo del Sole24 ore, di Vittorio Pelligra (10 luglio 2018):

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Un esempio istruttivo del disallineamento che si può produrre tra dati reali e percezioni distorte e dell’utilizzo politico che di quest’ultime può essere fatto, ci è stato dato nei giorni scorsi dalla polemica tra il presidente dell’Inps, Tito Boeri e il ministro degli Interni, Matteo Salvini. Boeri afferma nella sua relazione annuale che alla luce dei dati sulla struttura del nostro mercato del lavoro e delle dinamiche demografiche, il sistema pensionistico italiano rischia di andare in crisi senza l’apporto di nuovi lavoratori immigrati. Salvini gli risponde accusandolo di vivere su Marte. I dati di Boeri sono oggettivi e corretti, ma secondo la percezione dei cittadini e non solo di quelli che votano Salvini, di immigrati ce ne sono già anche troppi: gli ultimi dati Eurispes ci dicono che la maggioranza degli italiani pensa che siano tra il 16 e il 25% della popolazione totale, mentre in realtà sono l’8 per cento.
Questo è il punto cruciale allora: dobbiamo rassegnarci al fatto che il mondo dell’oggettività si debba trasferire su Marte? E chi vorrebbe vivere su questa “Terra”, dove la politica economica, migratoria, fiscale, si basa su percezioni distorte della realtà? Il National bureau of economic research ha appena pubblicato uno studio condotto da tre economisti di Harvard (Alesina, Miano, Stantcheva, 2018, Immigration and Redistribution, Nber) che può aiutarci a dare una risposta a questa domanda. Lo studio non solo mostra, come già affermato, che esiste una diffusa tendenza a sovrastimare l’incidenza degli immigrati nella popolazione, ma anche errori di valutazione sistematicamente distorti rispetto alla distanza culturale e religiosa, alla fragilità economica, al livello di studio, al livello di disoccupazione, all’accesso ai servizi pubblici.

Una ricerca dell’Istituto Cattaneo, che rielabora dati dell’eurobarometro e del Pew Research Center su più di 20.000 persone di 13 paesi ci propone (sempre nel Luglio 2018) un’evidenza nel delta di percezione, e sottolinea che questo delta è in Italia il più elevato rispetto ai paesi europei. Una conferma peraltro del quadro che fa del nostro paese la ricerca “Perils of Percetion” di Ipsos, di cui abbiamo già avuto modo di dire qualcosa in precedenti interventi.

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Il commento dei ricercatori è secco ma impressionante:

L’errore di percezione commesso dagli italiani è quello più alto tra tutti i paesi dell’Unione Europea (+17,4 punti percentuali) e si manterrebbe ugualmente elevato anche se considerassimo la percentuale di tutti gli immigrati presenti in Italia – che, secondo i dati delle Nazioni Unite, corrispondono attualmente al 10% della popolazione (cresciuti di oltre 6 punti percentuali rispetto al 2007). Gli altri paesi che mostrano un “errore percettivo” di poco inferiore a quello italiano sono il Portogallo (+14,6 punti percentuali), la Spagna (+14,4 p.p.) e il Regno Unito (+12,8 p.p.). Al contrario, la differenza tra la percentuale di immigrati “reali” e “percepiti” è minima nei paesi nordici (Svezia +0,3; Danimarca +2,2; Finlandia +2,6) e in alcuni paesi dell’Europa centro-orientale (Estonia -1,1; Croazia +0,1).

Visualizzando lo scarto tra dato e percezione si coglie meglio la situazione italiana:

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Del resto, in questi giorni i media ci sussurrano che l’entità degli sbarchi è ormai a livelli risibili, così come ci indicano che la demografia degli italiani ha necessità di integrazione e che nessuna politica familiare che scattasse anche in questo momento sarebbe in grado di invertire la rotta in tempo utile per evitare la crisi “pensionati mantenuti dai giovani”, senza l’apporto di immigrati). Eppure l’opinione pubblica continua a premiare chi si propone come argine all’invasione che ci distruggerà in casa nostra. Perché? Perché l’emozione dominante della paura, originata da incertezza, insicurezza, esperienza di décalage del benessere della classe media, sospetto dell’ineguaglianza nella distribuzione della ricchezza, ci priva dello spazio mentale necessario a ragionare e ci consegna all’urgenza di una qualsiasi soluzione. E fa scattare la ricerca della mamma o del padre potente, riducendoci a bambini che aspettano da altri la soddisfazione dei propri bisogni. Come ci ha ricordato Alberoni in un articolo di qualche giorno fa, la distruzione in atto della classe media toglie ossigeno alla dialettica di proposte alternative ragionate e pone la nostra società nella dialettica servi(plebe)-padroni(aristocrazia economico-finanziaria). Con il rischio che la plebe, dopo avere atteso e osannato invano padri-padroni che promettono risposte e soluzioni passino alla rivolta disordinata.
Che fare? Prendere atto che l’Italia sta diventando il paese occidentale in cui è più alta la distanza tra percezione e dati reali ( cfr. l’indice di Perils of Perception di Ipsos: guardate qui sotto dove sta l’Italia), e ripartire da un allenamento quotidiano a “vedere la realtà” nel perimetro della nostra esperienza quotidiana liberi dalla mediazione di media social web e pettegolezzi vari? Cominciano già ad esserci persone pagate per aiutarci a fare questo….

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