Cambiamente: i dialoghi
Per uscire dalla "gabbia" e costruire il futuro
guarda i video, per "vedere" la realtà da diverse prospettive
In questo ciclo di sintetici video daremo risposta ad alcune domande cruciali, scegliendole tra quelle che più ci ritroviamo nella testa e nei discorsi intorno a noi: 20 domande critiche, 4 aree cruciali oggi per l’impresa, 2 versanti di intervento prioritari nell’impresa.
Lo scopo è uscire dalle nuvole dei bla bla e ridurre il rumore di fondo, per concentrarci su ciò che ha più polpa e sulle direzioni in cui muoverci per agire costruttivamente.
Alla voce del "conduttore", Prof. G.Siri, si alternerà quella degli amici di Execo, che reagiranno alle diagnosi offerte, calandole nella concreta esperienza professionale; saranno benvenute le vostre reazioni e contributi.
I dialoghi
Brevi video di circa 30 minuti ciascuno, con spazio per i vostri contributi
Discontinuità generazionale o normale conflittualità tra vecchi e giovani?
Non sono cambiate le regole. È cambiato il gioco. E le strategie?
Pianificare, prevedere e controllare è la soluzione corretta?
Ok. MA...?!
Il consumismo è davvero finito?
O ha solo cambiato pelle?
Cambiamente: il libro
Introduzione alla lettura del libro
Visto che l’autore sono io che qui scrivo, la domanda del titolo me la sono ovviamente rivolta fin da quando ho avvertito la necessità di scrivere questo libro. Essendomi occupato per anni della psicologia dei consumi questa domanda si è subito tradotta nel suo omologo di marketing: “a quale bisogno reale sto rispondendo con questa offerta, e di quale target si tratta?”. Insomma, a chi dovrebbe interessare questa lettura, e cosa potrebbe trovarci di utile per sé? Condividere amichevolmente le risposte che mi sono dato mi pare un buon modo di aiutarvi a valutare se vale o meno la pena, per voi, di dedicare del tempo a questa esperienza di lettura: l’uso del termine “esperienza” non è casuale, come spero di trasmettervi tra poco.
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Il libro riguarda tuti coloro che vogliono uscire dalla sindrome del “nero di seppia” in cui siamo avvolti: una oscurità che non permette di vedere chiaramente se non la forte sensazione di trovarci in pericolo. Quindi una condizione non solo di incertezza conoscitiva ma anche di insicurezza emotiva, cui molti di noi sentono il bisogno (o la necessità, anche professionale) di reagire senza accontentarsi di discorsi generici o di arrangiamenti momentanei, e senza rifugiarsi in evasioni o fughe dalla realtà compensatorie nella logica “io speriamo che me la cavo”. Persone che credono ancora nella utilità del capire ragionando, animate dalla volontà di agire alla luce di un progetto ragionevole da condividere cooperando concretamente. Persone che sentono che forse le tante perdite di cui ci parlano insistentemente i media (il PIL, il benessere, il lavoro, la salute, il pianeta…) possono essere il segno di una transizione che contiene aspetti positivi. Nel dirmi questo avevo in mente persone/professionisti con cui ho a che fare normalmente: imprenditori, manager, educatori, formatori, persone socialmente impegnate o anche semplicemente desiderose di trovare il bandolo della matassa, di capire il senso di ciò che sta accadendoci e mantenere il rispetto di sé stessi.
Stiamo vivendo in uno stato di paura, di ansia diffusa e imprecisa che sconfina nella angoscia, che i racconti mediatici sembrano compiacersi di alimentare (fa audience). La forma meno vaga di questa paura si configura come il timore di perdere il benessere in cui sono cresciute le ultime quattro generazioni di europei (e gli italiani più degli altri): nonostante tutte le lamentele e le diseguaglianze, abbiamo vissuto 70 anni di benessere mai visto prima. Era accaduto qualcosa del genere anche con la “belle époque”: i 40 anni tra il 1871 e il 1914 avevano visto pace, progress, diffusione del benessere, espansione delle libertà sociali. Finirono in modo improvviso e del tutto inaspettato con una sequenza analoga a quella di quanto ci sta oggi accadendo: la guerra mondiale (in due puntate, prima e seconda), una devastante pandemia (la spagnola tra il 1918 e il 1925), la crisi economica del 1929. Oggi abbiamo avuto dal 2008 la crisi economico-finanziaria, poi la pandemia del covid, e ora una guerra potenzialmente mondiale alle porte. Il tutto condito dalla sostenibilità del pianeta, dalle migrazioni di massa, dal breakthrough tecnologico, dalla globalizzazione che ora rallenta, dalla frattura generazionale…. E’ facile, naturale, entrare nell’ansia da incertezza&insicurezza.
Buona parte di questa angoscia dipende dal fatto che guardiamo a queste realtà indossando ancora gli occhiali della modernità, quelli con cui siamo abituati a vedere il mondo la società e noi stessi. Per vedere oltre la cortina dell’ansia occorre rendersi consapevoli di questa deformazione della nostra mentalità che governa la nostra quotidianità. Le nostre paure sono alimentate dal sommarsi dei meccanismi psicologici della paura e dalle rappresentazioni che ci facciamo della realtà attraverso i nostri occhiali di figli della modernità. Se potessimo cambiare questi occhiali potremmo cominciare a vedere che è proprio l’evoluzione storica della modernità a spingerci fuori dall’equilibrio in cui siamo vissuti, una zona di comfort molto comoda e positiva per mantenere la quale abbiamo però accantonato aspetti non ulteriormente trascurabili della nostra realtà umana, sociale, lavorativa. Il nostro benessere non era gratis.
Nel libro cerco di mettere a fuoco sia i meccanismi psicologici della paura sia i limiti degli occhiali della modernità, mostrando (spero) che facendolo possiamo intravvedere il positivo di questa transizione e capire quanto il rimanere fermi nell’idea che “a da passà a nuttata” peggiorerà le cose. Lo faccio mostrando quanto e come nel tessuto quotidiano queste cose ci guidano, e per questo la lettura può cositutire per il lettore una “esperienza” nel senso che attraverso di essa possiamo davvero “vedere” gli schemi che usiamo automaticamente e concretamente in ogni momento.
Si, va beh, ma allora? E’ solo un esercizio mentale, astratto? Sento questa domanda sorgere spontanea nel lettore. La risposta è che esistono alcuni contesti reali, concreti, che viviamo ogni giorno, in cui questo sforzo di cambiare mentalità si sta sviluppando in concretamente. Paradossalmente non nelle università o nella politica o nelle Istituzioni formative, ma nelle aziende. La formazione aziendale è l’ambito in cui, per lo più ancora confusamente e con poca metodologia e progettualità a lungo termine, si è cominciato ad affrontare il tema del cambiamente e del cambiamento di modelli e cultura organizzativa. In modo a volte empirico e modaiolo, le aziende hanno però avvertito chiaramente che qualcosa cambia e che bisogna adeguarsi. Perché se la società (politica, media, scuola, istituzioni, social, senso comune…) e gli individui possono ancora nascondere la testa nella sabbia, le aziende non possono già più farlo, obbligate da vincoli molti concreti e stringenti. In attesa di intellettuali e politici di visione, l’azienda è oggi paradossalmente un punto di ripartenza culturale, di cambiamento di mentalità, di ri-formazione. Così, paradossalmente ma non troppo, uno dei luoghi chiave della mentalità moderna è anche quello di gestazione del cambiamente: per poter continuare a produrre con successo, se volete per continuare a fare profitti. Accade spesso nella natura delle cose umane che da motivazioni molto basilari e non “nobili” nascano cose importanti e creative.
E’ dunque in definitiva un racconto ottimista, quello del libro: ma solo se la smetteremo di indossare i vecchi occhiali e prigionieri della paura di perdere un benessere eccezionale che consideriamo ormai normale (ma non lo è). Altrimenti la storia andrà avanti, con costi sociali ed esistenziali assai più drastici e dolorosi di come potrebbero essere se noi “ci siamo”.
Grazie intanto per questa lettura, a chi è arrivato fin qui. E arrivederci sul libro, per i pochi che potrebbero essersi riconosciuti in questo “target”.
Un augurio a tutti noi,
Giovanni Siri