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Spunti di riflessione

 

2022: l’anno del risveglio

A cura di Giovanni Siri

I primi segnali affiorano, pur nella perdurante chiassosità del pettegolezzo politico e del cicaleccio social-mediatico. L’anno ormai avviato potrebbe essere quello in cui i nodi rinviati, ignorati, rimpallati in qualche caso da decenni incontreranno i denti del pettine della storia. Non è detto che davvero ci sveglieremo, ma pensare che forse saremo obbligati a farlo è l’unico ottimismo che ci è oggi possibile. Per aiutare il necessario risveglio chi scrive e non fa parte di chi può decidere (se non per sé stesso) può solo ricordare alcuni di quei “nodi” cui si è alluso sopra.

 

I Megatrends

Per prima cosa occorre ricordare che la pandemia non solo comporta cambiamenti di rotta dei megatrends già in atto ben prima del suo insorgere, ma anzi ne accelererà la dinamica. Quindi con il venire meno dello stato sospeso dell’emergenza riprenderanno con maggiore vigore il loro cammino alcuni megatrends ben noti: l’ineguaglianza sociale (vedasi il rapporto Oxfam appena pubblicato), la digitalizzazione e l’implementazione delle nuove tecnologie con conseguente ridefinizione del lavoro e dei posti di lavoro (quindi ulteriori turbolenze sociali), i moti migratori (aggravati dal timore che diventino vettori di mutazioni virali), la transizione green (che, come oggi tocchiamo con mano, non è una passeggiata e ha non è una passeggiata, avendo costi che squilibrano i rapporti di potere, i rapporti economici e il benessere quotidiano degli europei poveri di risorse energetiche).

Ovviamente gli effetti dei mutamenti climatici proseguiranno introducendo nuovi fattori di ineguaglianza e conflittualità, così come proseguirà il disagio di uno stravincente capitalismo finanziario che in questo eccessivo successo comincia a scorgere le radici del suo possibile decadimento.

Si acutizzerà, come già vediamo, la discordia ormai al limite del conflitto tra Oriente e Occidente, e l’Europa si rivelerà sempre più un ricco castello di re decaduti, buono ormai solo come preda per i nuovi potenti.

L’Italia dovrà prendere atto che la pretesa di mantenere i privilegi di una “società signorile di massa” a spese di altri è una illusione colpevolmente coltivata da una classe politica di venditori di consenso.

 

Lavoro e Aziende: ripensare il lavoro

E il mondo del lavoro, dell’impresa? Come sempre sarà esposto in prima linea a questi eventi “macro” ma, per giunta, vedrà maturare “nodi” specifici alla sua specifica realtà. Non solo quindi transizione tecnologica, vincoli di sostenibilità o revisione della logistica, ma aspetti assai più vicini all'azienda come fin qui intesa, organizzata e gestita.

Si parla ormai apertamente di una necessità di un “ripensamento del lavoro”, in parallelo a quel “rethinking capitalism” avviato da qualche anno dai vertici capitalistici e risuonato al WEF (World Economic Forum) tre anni fa. L’impresa nasce organizzando il lavoro attorno ai processi e alle tecnologie cui i “dipendenti” (tali quindi non solo rispetto al “padrone-capo”) sono subordinati. Lo sforzo di cambiare un modo millenario di produzione ingegnerizzando il mercantilismo capitalistico era già abbastanza complesso anche senza includervi il fattore umano, e si può comprendere quella scelta storica da cui oggettivamente è scaturito benessere per tutti. Ma la deriva storica messa in moto proprio da quella rivoluzione industriale ha reso sempre più evidente che il fattore umano è decisivo, e che la “fabbrica” non è solo un luogo di processi produttivi ma al tempo stesso di interazioni sociali.

Oggi, alla vigilia di un salto tecnologico ancor più formidabile rispetto a quello da cui partì la “rivoluzione digitale”, sorprendentemente ci troviamo a convergere sulla convinzione che ciò che ci occorre è la presenza di “più umano” prima e accanto al “più tecnologia”. Il che ovviamente porta a chiedersi cosa si intenda con ciò: possiamo accontentarci di un'iniezione massiccia di soft-skills, di empatia, di resilienza e così via? O è il caso di ripensare più a fondo il senso dell’organizzazione includendo finalmente in essa la “organizzazione sociale” dell’azienda, ovvero affrontando i temi chiave della revisione del rapporto vita-lavoro, il superamento del clima individualista-competitivo a favore di un lavoro per team generativi di scopo, la ridefinizione culturale del senso dell’impresa (la sua “purpose” come oggi si ama dire) per andare oltre l’utilitarismo darwinista, la revisione del senso e dei modi della leadership… per non parlare della convivenza nella dimensione aziendale di quattro generazioni diverse tra loro, di due generi con prospettive alternative, di culture immigrate che cercano integrazione….

 

Un futuro diverso e migliore

Mia moglie mi dice di non fare la Cassandra, e capisco che la brevità di spazio costringe sostanzialmente a elencare nodi che paiono solo problemi. Ma si tratta di una deformazione di prospettiva obbligata dalla lente delle due pagine.

In realtà, dal mio punto di vista “vedere” questi “nodi” è un problema solo se pensiamo che quello fin qui vissuto è il migliore dei modi possibili di vivere: ma credo che tutti ormai sentiamo, la Gen Z più di altri che, per quanto grati al benessere e alle conoscenze che questo modo di vivere ci ha dato, possiamo fare di meglio. La tecnologia e le risorse cognitive ci sono: manca solo la nostra presa di coscienza, il nostro risveglio dai torpori della paura di perdere ciò che abbiamo (noi europei, occidentali: non tutto il mondo però). E se la realtà ci scuote un po' va bene, serve a svegliarci.

 

Il futuro può essere migliore del ricco passato, se trasformiamo una confusa paura in un progetto costruttivo: buon anno a tutti noi.

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