Skip to main content

Spunti di riflessione

 

L’ignoranza non è una virtù

L’indagine Ipsos-Mori (“Perils of Perception”2018) sulla distanza tra percezione (convinzione personale) e informazione (conoscenza dei dati reali) - relativi a fenomeni sociali come per es. l’incremento del numero di omicidi o il numero di immigrati e così via - nasce da una rilevazione su 50.000 casi in 38 paesi diversi

L’ignoranza non è una virtù

L’indagine Ipsos-Mori (“Perils of Perception”2018) sulla distanza tra percezione (convinzione personale) e informazione (conoscenza dei dati reali) - relativi a fenomeni sociali come per es. l’incremento del numero di omicidi o il numero di immigrati e così via - nasce da una rilevazione su 50.000 casi in 38 paesi diversi. Il livello di distanza tra creduto e reale diventa un indice di disinformazione che l’Istituto inglese definisce “ignoranza” nel senso letterale di “ignorare=non sapere” dei vari paesi. Possiamo anche dire che in epoca di ricchezza di fonti di informazione e di uso intensivo di Internet da parte della quasi totalità delle popolazioni il “non sapere” va considerato un indicatore della non volontà di sapere, preferendo trasformare in “dati” le cose in cui vogliamo credere piuttosto che confrontarci con la realtà. Ora il fatto è che l’Italia si pone al 26°posto sui 38 paesi censiti, buona ultima dei paesi europei (e dell’Occidente industriale in genere). Un segno preoccupante che lascia spazio alla manipolazione dei media, della propaganda, dell’opinione per proporci quei “dati” che cullano le nostre illusioni fugando in modo effimero paure profonde e timori di perdita del benessere e della eguaglianza sociale. Del resto questo dato di Ipsos-Mori converge con una serie di altri dati italiani preoccupanti e ignorati nei dibattiti social e poco evidenziati dai media istituzionali: la forbice, da noi elevata e rapidamente crescente più che in a altri paesi europei, della diseguaglianza sociale, il record di disoccupati tra i giovani e le donne, la scarsa fertilità, la bassa produttività, la minore crescita (rispetto sempre ai paesi europei e occidentali industrializzati). Per non parlare dell'inefficienza dell’apparato legale amministrativo e burocratico, dell’entità del “nero” e delle tasse non riscosse, del costo del lavoro….

Possiamo continuare a dirci che noi abbiamo creatività e risorse che ci consentono scatti impensati grazie a cui ci “arrangiamo” sempre in qualche modo, certo. E di sicuro abbiamo un potenziale umano (grazie anche alle differenze genetiche e culturali ed alla storia di contaminazioni e invasioni che ci caratterizzano, ed alla radice umanistica e cristiana) in grado di affrontare il grande mutamento in corso verso la quarta rivoluzione industriale e un società post-nazionale. Ma siamo anche quelli in cui la soluzione magica e infantile dell’autoritarismo attecchisce facilmente. E queste soluzioni se non erano positive allora oggi, in un mondo globale e cui siamo doppiamente vincolati anche dal nostro debito pubblico non sono proprio possibili. O affrontiamo la realtà o ci ritroveremo servi: stupidamente.