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Spunti di riflessione

 

2021: da leggere prima di iniziare

La lente del COVID

Alcune lezioni dure ma benefiche

  1. La prevedibilità non è più garantita. La ipercomplessità e l’incertezza erano ormai oggetto di titoli, report, discussioni da tempo: la lente del covid ci mette di fronte alla dura realtà (dura rispetto al mito moderno della certezza cognitiva calcolabile) di un mondo non prevedibile secondo gli standard che credevamo garantiti. Non si tratta di un “cigno nero”, ma del sintomo di una nuova realtà in cui già viviamo e che sarà il cosiddetto “new normal” di cui ora si parla.            
  2. L’organizzazione non sarà più quella di una volta. Nella seconda modernità -quella industriale che segue la prima umanistico-illuminista e sta cedendo il passo alla terza modernità sistemica e generativa - l’organizzazione era un gioiello che creava istituzioni e associazioni (governi, aziende, società) rigorosamente ordinate, logiche, astratte, governate da regole fisse e universali. Oggi ci troviamo nella evidente necessità di muoverci verso organizzazioni flessibili e capaci di organizzare non solo i processi ma soprattutto le persone e i loro rapporti entro un progetto produttivo. La lente del covid ci ha mostrato quanto proprio il tipo di organizzazione che produce burocrazia, leggi e conflitti di potere non sia all’altezza né dell’ efficienza plastica necessaria, né di mettere in primo piano il benessere delle persone.
  3. Virtuale è bello ma non sufficiente. Nella pandemia abbiamo toccato con mano che le relazioni “virtuali” non ci bastano, né tra amici né tra compagni di lavoro. Siamo esseri costruiti attorno ad una relazione mediata (anzi: resa possibile) dalla fisicità corporea del contatto. Abbiamo esaltato il corpo come fonte di erotismo o di appeal estetico, come espressione di sé, ma il nostro corpo è primariamente ciò che ci impone agli altri e che ne raccoglie il feedback sensoriale, di contatto fisico, generando la fiducia di base di chi sente di essere per l’altro un “oggetto di valore” e non solo una fonte di informazioni. I social ci stanno molto aiutando, ma tutti abbiamo toccato con mano quanto da soli non bastino a saturare questa fame di contatto, basica per l’essere umano.
  4. Un rapporto più sensato tra individui e istituzioni. Veniamo da una fase storica in cui l’individualismo si è ripiegato sul privato (incluse le reti amicali) delegando alle istituzioni la gestione della “cosa pubblica”. La pandemia ci ha mostrato che le istituzioni non sono in grado di gestire situazioni che coinvolgono davvero le persone, e al tempo stesso che il comportamento spontaneo degli individui ha bisogno di essere governato. Finita la crisi acuta, dovremo ripensare il “contratto sociale”, così come le imprese devono andare oltre la richiesta di engagement per mettere mano a un nuovo patto aziendale che affronti le cruciali questioni della catena di comando e del rapporto vita-lavoro. Quest’ultimo è decisivo per le nuove generazioni e va ormai ben oltre il tema già noto (ma non per questo risolto) del work-life balance.
  5. Non c’è niente di più utile di una buona emozione. Noi, figli della modernità, siamo stati allevati (tra l’altro) nella idea che le emozioni sono qualcosa di secondario rispetto alle cose importanti della vita, se non addirittura qualcosa di poco degno di una persona adulta e civile. Ad esse abbiamo lasciato spazi marginali nella letteratura d’appendice televisiva, nella femminilità sentimentale, nelle classi meno colte e beneducate. La dimensione pubblica, e soprattutto la sfera personale, dovevano essere immuni dal virus delle emozioni. La lente pandemica ci ha fatto sentire da vicino quanto, di fronte al timore della sofferenza, della perdita di benessere, della possibilità di morire, il rimedio stia proprio nelle emozioni, perché le dimensioni dell’insicurezza e della paura si curano con emozioni positive come la fiducia, la relazione che non ti fa sentire solo, la condivisione, la forza che dà un progetto credibile. Sono tutti elementi che l’importanza data in azienda da anni alle soft skills segnala come già noti: ma ancora considerati solo come “valore aggiunto”, mentre ora capiamo quanto siano fattori perno, decisivi. Una organizzazione efficace è centrata sulla fiducia e non sul sospetto, è aperta alla relazione che genera gruppi di scopo efficienti e soddisfacenti per le persone, è davvero competente in una comunicazione che alimenta una visione e un progetto partecipativo. Ciò che serve è la pratica convinta, e non solo qualche ora di “formazione.
  6. Tolleranza zero per la mancanza di trasparenza. Con lo scoppio della pandemia, quasi tutte le imprese hanno dovuto ricorrere a qualche tipo di taglio: ferie obbligate, riduzione degli orari di lavoro, licenziamenti. Per i dipendenti in ferie forzate o con orario ridotto, la comunicazione trasparente è stata fondamentale per aiutarli a capire cosa ci si aspettava da loro e quali fossero le possibili evoluzioni in futuro. In una crisi globale, la trasparenza è più che comunicare i cambiamenti: è permettere alle persone di accedere alle informazioni di cui hanno bisogno, non solo quelle che l’azienda ritiene di dover condividere (es. comunicare alle persone quanti altri colleghi hanno subito lo stesso trattamento o informarle sull’andamento dell’azienda evidenziando le ripercussioni finanziarie della pandemia). Crisi o no, è giusto pretendere la trasparenza ed è un trend che non si fermerà.
  7. Capacità di adattamento e rapido sviluppo delle competenze. Le competenze di una persona media hanno un ciclo di vita pari a circa cinque anni, ma con la spinta all’innovazione provocata dalla pandemia questo lasso di tempo potrebbe diventare ancora più breve del previsto. In effetti, la necessità di acquisire nuove competenze è già largamente sentita: una recente indagine dimostra che il 30% degli intervistati teme che il proprio lavoro diventi superfluo nei prossimi anni, mentre più del 75% teme i cambiamenti futuri riguardanti il proprio ruolo a seguito della crisi. Moltissime aziende hanno già fatto passi da gigante nell’innovare i propri servizi e renderli a prova di futuro. Questa capacità di adattamento nasce dall’acquisizione di competenze nuove o più avanzate per stimolare il pensiero innovativo e creativo: una cosa che probabilmente vedremo sempre più nel 2021.
  8. Deglobalizzazione: una realtà ineluttabile. Se da un lato ci sentiamo tutti più connessi con partner stranieri grazie all’impennata degli strumenti collaborativi, dall’altro è probabile che le cose cambino nel 2021. Tra le aziende c’è una tendenza sempre più diffusa a lavorare a un livello più locale. Il coronavirus ha già avuto un enorme impatto sulla filiera mondiale e questo ha incoraggiato lo spostamento dal piano globale a quello domestico. Spostando le operazioni produttive da stabilimenti esteri a stabilimenti locali, l’HRr avrà molti ostacoli da superare. Questo cambiamento implica la necessità di assumere persone che riempiano i posti vacanti nelle sedi locali, con un conseguente aumento delle attività di recruiting e onboarding. Queste nuove assunzioni implicheranno a loro volta un impegno molto gravoso dal punto di vista formativo, perché spesso si richiede esperienza precedente in un ruolo simile, cosa che però è quasi impossibile in questo caso, trattandosi di attività eseguite soprattutto all’estero: il potenziale skill gap è dietro l’angolo. Per aiutare a colmarlo, è probabile che le aziende guardino al proprio interno.

Sono lezioni cruciali e benefiche, se le vogliamo raccogliere. Oppure preferiamo continuare a tenerle come argomenti marginali e interventi superficiali: nelle aziende, nella società e anche nella nostra vita personale?