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Spunti di riflessione

 

L’adolescenza è una fake news

A cura di M.Pappalardo

Nel passato i ragazzi a 14/15 anni entravano già in un’età adulta, erano pronti per il lavoro e per il matrimonio, senza distinzione di classi sociali. Si iniziava a lavorare presto se si era poveri, cioè proletari nel senso letterale della parola. Ma si diventava cardinali anche a dodici se si apparteneva all'aristocrazia. L'adolescenza, concepita come età di passaggio, come un periodo di parcheggio in attesa di decidere che cosa fare della propria vita, non esisteva affatto. Non si era mai in un'epoca “falsa” di belle speranze.

Oggi invece non solo è stato aperto un varco a questa età, ma la si è dilatata a dismisura. Siamo adolescenti ad libitum. Non è che all’epoca dei nostri bisnonni i ragazzi non vivessero la pubertà. Ma la pubertà non era per nulla una terra di nessuno, una stagione di parcheggio, una specie di sala di attesa dell'esistenza.

Invece è con il secolo scorso che è stata attestata l'esistenza di questa stagione della vita, creandole attorno anche dottrine, teorie fino a farla diventare addirittura materia di una disciplina scientifica. Ma, per dirla con chiarezza estrema, la psicologia dell'età evolutiva non ha niente di scientifico, perché elude questo dato basilare: sino a qualche decennio fa nessuno si era accorto dell'esistenza dell'adolescenza. Bisognerebbe spiegare com'è possibile che in secoli di storia l'uomo non abbia notato un qualcosa che oggi si dà per assolutamente scontato (!!!).

Ci possono certamente essere ragioni demografiche. Oggi la vita si è allungata. E anche le età si sono dilatate, ma un conto sono le età che si dilatano e un altro è inventare un'età che non esisteva. Ho sempre in mente certe conversazioni di trentenni che a tavola si divertono a chiedersi che faranno nella vita. Chiedersi cosa si farà “da grandi” a 30 anni è un fatto patologico: eppure oggi viene considerato del tutto normale. Bisogna avere il coraggio di ammettere che non solo non è normale, ma che ogni tentativo di giustificarne la liceità è profondamente irresponsabile.

Siamo in una società eutrofica, cioè ricca di nutrimenti, ore felici, psicofarmaci da banco e da banchetto, di vitamine energizzanti, di yoga sportivo, di libertà obbligatoria - a vent'anni abbiamo tutto: energie, risorse, possibilità. Che meraviglia, la realizzazione piena e compiuta del vogliamo tutto di sessantottina memoria. Peccato che ci resti poi solo l'angoscia di come riempire i successivi sessant’anni rimanenti della nostra vita. In fondo tutta la letteratura, tutto il cinema, tutte le canzoni hanno da qualche tempo - almeno tre decenni - come parola chiave il sopravvivere, il farcela, il resistere. Non è così biologicamente, poiché siamo fatti non per sopravvivere ma per Esistere, però questa storia del vascorossiano sopravvivere l’abbiamo fatta diventare una scusante per accrescere e dilatare il tempo di latenza tra il soggetto e la presa in consegna di una qualsiasi responsabilità che renda finalmente adulti. Una sorta di guasto del tempo, di lacerazione, di smagliatura dei nostri anni che si fermano in un’attesa rassegnata, da riempire pertanto di intrattenimento infinito per eludere la noia e al contempo cercando, trovando o inventando alibi per giustificare l’inerzia.

L'invenzione dell'adolescenza è quindi una risposta ad una situazione che è venuta a crearsi nella modernità, ma è una risposta sbagliata. L'adolescenza è il tempo dell'attesa, è la stagione in cui ci si pone una domanda che denota noia, angoscia. In cui il domani è visto sempre come un problema. E questo è il punto chiave, il vero dramma che tocca la nostra condizione umana, oggi. Il domani è diventato un buco da riempire, non è più un'opera da costruire, un lavoro da continuare. Non abbiamo e non ci diamo nessuna aspettativa. L'adolescenza perpetuata è la fotografia di questa condizione che non ha età, anche se gli esperti ci dicono che corrisponde a quella stagione della vita che va dai 12 ai 18 anni.

La vera questione da porre pertanto non è se la responsabilità ad un tratto della vita esista e quindi vada presa in carico, ma se essa sia poi davvero così interessante. Essa non è certamente interessante dentro la prospettiva del doverismo noioso. Ma è interessante in quanto se ben esercitata restituisce un domani pieno di aspettative e speranze. Chi vive la responsabilità ha sempre più voglia di lavorare, di costruire partnership, per investirla in una prospettiva pienamente umana. Non ha il problema della noia, del buco di tempo da riempire, della ripetitività. Compie un lavoro che si fa opera, non inerzia.

La responsabilità è interessante esattamente per questo, perché ripara le smagliature e i guasti del tempo, ci fa ripartire a qualunque età e in qualsiasi condizione si sia chiamati, senza mai perderlo quel tempo raro e prezioso che non chiamiamo né vita, né sopravvivenza, ma soltanto esistenza ossia la grande opportunità di vivere in profondità senza limiti di tempo dentro ogni tempo.

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