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Approfondimenti Human Side Metrics

alcuni articoli scritti dal Prof. G.Siri

 

La scelta di non scegliere è un lusso che non possiamo più permetterci - parta 1

Parte 1/3 - A cura del Prof. Giovanni Siri

Clicca per vedere:  Parte 2 e Parte 3 

In psicologia esiste una interessante tradizione di ricerca sulla psychological blindness. In buona sostanza si tratta di ricerche su una realtà quotidiana cui non facciamo caso (ed è anche questa una forza di cecità psicologica) per alcuni aspetti che abbiamo sotto gli occhi.

E’ un fatto strutturale della nostra architettura psichica e fa la fortuna dei prestidigitatori (e non solo): noi abbiamo una capacità di elaborazione della informazione ridicolmente limitata (da 126 a 1000 bits al secondo, si stima) rispetto alla enorme quantità di informazioni afferenti dai nostri organi di senso (e che siamo in grado di recepire) e dal nostro mondo interno (memoria, associazioni, colorazione emotiva). Insomma, abbiamo in ogni istante a disposizione una enorme quantità e tipologia di informazioni ma possiamo elaborarne solo una quantità limitatissima.

Questo disequilibrio ha un senso e fa parte di un “progetto uomo” in cui non è la conoscenza di tutto e il calcolo meditato a governare, ma l’urgenza del decidere per re-agire. Noi oggi ci viviamo come una specie forte e dominante, ma per centinaia di migliaia di anni siamo stati parte di una famiglia evolutiva molto debole che sopravviveva solo grazie alla paura e alla rapida fuga dal pericolo. Perciò la nostra attenzione è focalizzata ed è guidata dalle emozioni: come ben sa chi per ruolo professionale deve decidere una eccessiva e non gerarchizzata quantità di elementi non aiuta la decisione, tanto meno quanto più urgente e gravida di conseguenze (positive o negative) essa è.

E quindi sulla vasta scena dello spettacolo della vita (interna ed esterna a noi) l’occhio di bue della attenzione deve inesorabilmente scegliere dove porre il suo focus. Ciò ci rende inevitabilmente “ciechi” alla parte che rimane fuori dal ristretto cono di luce dell’attenzione focalizzata.

Un caso oggi molto citato nel dibattito ecologico è quello della plant blindness. In esperimenti ampiamente ripetuti se mostro una foto della foresta amazzonica piena di piante e vegetazione anche insolita per un europeo, alla domanda “cosa mostrava la foto” tutti diranno che “c’era un piccolo strano insetto rosso in basso a destra”, come se si trattasse di un gioco da “chi riesce a vederlo?”. Nessuno cita la massiccia presenza della vegetazione. Se vi interessa capire qualcosa di più sulla plant blindness ascoltate un qualsiasi video su YouTube di Stefano Mancusi, il noto biogenetista botanico, non ve ne pentirete.

Dopodiché, ciò che qui mi interessa qui sottolineare è che l’orientamento del nostro focus di attenzione - congegnato filogeneticamente come uno stratagemma di sopravvivenza e garantito perciò dalla strutturazione neurobiologica del nostro sistema nervoso - è solo in parte programmato “automaticamente” ab origine. Una larga parte della scelta della porzione di realtà da “vedere” dipende da fattori culturali, ossia da ciò che crescendo in un certo luogo e tempo e società ho appreso a considerare rilevanti e significative sedimentando abitudini ed automatismi che orientano il mio “sguardo cognitivo” ovvero il sistema attese-attenzione-percezione-categorizzazione-decisione.

La pubblicità, come i prestidigitatori, utilizza per esempio il branding come un orientatore a monte della attenzione: un marchio noto attira la nostra attenzione sullo scaffale più di altri. Chi non possiede un'immagine già accreditata deve puntare sul sensazionalismo, ovvero dissonanza o violazione degli schemi o accentuazione di stimoli pulsionali: strategia aggressiva che può essere efficace ma anche rischiosa e dispendiosa da sostenere, come sanno bene i partiti politici.

 

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