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Approfondimenti Human Side Metrics

alcuni articoli scritti dal Prof. G.Siri

 

La scelta di non scegliere è un lusso che non possiamo più permetterci - parte 3

Parte 3/3 - A cura del Prof. Giovanni Siri

Clicca per vedere:  Parte 1 e Parte 2 

E quale è la dimensione che rimane oggi più affetta da corporate culture blindness? Penserete al climate change e alla sostenibilità, oppure alle tecnologie intelligenti del 4.0.

Certo, anche queste sono ancora solo parzialmente visibili: il fatto che se ne parli tanto non deve trarre in inganno, perché ciò che conta sono le azioni concrete, che ancora latitano largamente o si limitano a gesti simbolici o a buone intenzioni di sostegno alla immagine e al business.

Ma l’aspetto chiave (perché risorsa decisiva per affrontare il re-thinking imposto dai nuovi tempi) è la dimensione sociale della impresa. Non nel senso della “responsabilità sociale”, che riguarda il rapporto dell'impresa con il “mondo esterno”, ma in relazione al suo “mondo interno”. L’impresa è di fatto una comunità di persone in relazione tra loro rispetto all’impegno verso un interesse comune, che sviluppano un senso di appartenenza a un qualcosa che va al di là della somma dei singoli individui, dei riti e dei codici distintivi. Una vera e propria “tribù” antropologica, complessa e articolata, intreccio di personalismi, motivazioni, aspettative, alleanze, mentalità, conflitti: diversità che convergono in una sintesi concreta e operante.

Abbiamo sfiorato negli ultimi anni questa realtà ipercomplessa semplificandola e misurandola attraverso il concetto operativo di engagement e di soft skills. Bene: ma siamo lontano dal vedere realmente le aziende come una “società/comunità di persone” per cui costruire uno scopo e una visione comune. Peter Drucker perciò diceva che in un'azienda la “cultura” (questa tessitura comune) si “mangia la strategia a colazione, pranzo e cena”.

Le aziende sono eredi della fabbrica e della impresa ottocentesca, che non aveva avuto bisogno di affrontare questo aspetto, perché allora tutto accadeva nel contesto di una rivoluzione sociale e scientifica al servizio di una utopia di libertà e benessere (progresso) mai visto prima. In un tale contesto storico le persone pagavano volentieri il prezzo di essere considerate individui capaci di prestazioni in uno scambio negoziale di vantaggi. Oggi che l’obiettivo di progresso materiale ma anche di crescita culturale e di consapevolezza di sé è (nei nostri paesi affluenti) raggiunto in misura sufficiente questo non è più possibile.

Finita la guerra non posso più arruolare le persone come “soldati”, a devo - come nel marketing - persuadere e convincere. Perché loro (le persone) non ci stanno più a fare i soldati e anche perché ciò di cui oggi ho bisogno non sono più le loro braccia e gambe (per quelli ho robot e macchine intelligenti) ma le loro energie specificamente umane da cui arriva agilità, resilienza, innovazione, antifragilità, engagement… tante etichette per dire che ho bisogno delle persone e della loro unica capacità di cooperare in team moltiplicando così le attitudini innovative, ideative, generative.

L’azienda d’oggi e domani è quel tipo di organizzazione capace di realizzare proprio tutto questo: purché la smetta di pensare i suoi employees come individui prestatori d’opera e li percepisca nella loro realtà di persone e gruppi di persone capaci di partecipare attivamente e bisognosi di significato per le loro esistenze. Solo così potremmo capire per esempio come mai, dopo più di i un lustro di sforzi anche economici per creare engagement dei “dipendenti” si siano ottenuti pochissimi spostamenti percentuali (meno del 2% di crescita dell’engagement complessivo) e la situazione sia fotografata ad oggi come illustrato qui sotto.

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Cioè: il 69% dei dipendenti sta a bordo lasciandosi trasportare passivamente o remando contro. Bisogna uscire dalla blindness, ri-vedere le cose come stanno spostando il focus di attenzione dai processi e dall’urgenza del profitto alla dimensione sociale, relazionale, personale che sono la dimensione vitale per l’azienda. Assieme alle tecnologie, naturalmente: ma prioritarie perché le nuove tecnologie non possono essere adeguatamente utilizzate se non da persone che vivono il lavoro come sinergico e fertile per la propria vita personale e come momento di relazione importante con gli altri e con una entità (l’azienda) con cui realizzano un legame affettivo e di cui si sentono parte e vogliono prendersi cura.

Tutto questo i vertici lo desiderano e lo cercano: ma è un frutto che non si coglie se non cambiando sguardo. Nessuno dice sia facile né spontaneo: togliamoci dalla testa che siamo tutti pronti e felici quando c’è in ballo un reale cambiamento che ci tocca da vicino. Qui non si tratta di intelligenza o di buona volontà: si tratta di realtà e di necessità. Ma anche di una formidabile opportunità di crescita, di passaggio ad uno stadio post-industriale della azienda, del lavoro, delle persone.

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