Ripensare l’organizzazione. Senza paura. – Parte 1
Parte 1/3 - A cura del Prof. Giovanni Siri
Leggi Parte 2 e Parte 3
In una efficace sintesi offerta recentemente da McKinsey per la serie Change Management vengono elencati gli obiettivi cui si deve ispirare (secondo gli autori) il modello di organizzazione necessario per le imprese di oggi per domani, e che l’esperienza Covid ha reso più urgente avviare.
In buona sostanza vengono identificate tre linee di azione.
La prima, definita “organizational design”, concerne i vettori attorno a cui costruire i nuovi modelli organizzativi che devono favorire l’agilità indispensabile per adattarsi a un mondo in evoluzione imprevedibile.
Quindi viene raccomandato di progettare la propria struttura in modo da favorire velocità e flessibilità, anche attraverso un adeguato utilizzo delle nuove risorse tecnologiche (ancora assai poco inserite e poco intese come risorsa strategica); di fare in modo che l’organizzazione ruoti attorno ai processi di decision making favorendone la rapidità e distribuendo l’empowerment decisionale evitando colli di bottiglia per eccessiva verticalizzazione delle decisioni; e infine organizzare l’azienda in modo tale da favorire una prospettiva aperta al futuro, ovvero la capacità di ragionare per ipotesi generando making sense (del resto in una realtà complessa e non così prevedibile è necessario sviluppare capacità rappresentative, cosa che la debole specie homo ha dovuto fare per sopravvivere in un mondo che allora non dominava).
La seconda linea di priorità ha a che fare con il coltivare una cultura del cambiamento ispirata a quattro linee di azione:
- radicare la percezione del significato del lavoro in valori e scopi significativi per le persone;
- mettere al primo posto in agenda l’innovazione;
- mantenere un flusso constante e trasparente di informazione;
- creare stabilità attraverso regole chiare e disciplina condivisa.
In altri termini rendere le persone partecipi, coinvolte e rispettate.
La terza linea di azione infine riguarda le azioni HR di caring ed education a livello individuale:
- non solo motivare ma inspiring gli individui sfruttando le nuove tecnologie enabling e individualizing;
- focalizzare l’attenzione sui talenti (qualcuno prima o poi mi spiegherà cosa significa questo termine, sconosciuto alla psicologia scientifica) e sul reskilling (analoga richiesta);
- dare spazio alla inclusione per rendere risorse le diversità.
Questo riassunto per sottolineare quanto anche indicazioni piene di buon senso come queste sono lontane dal nocciolo del problema. E’ certo che l’organizzazione va ripensata, ma qui non stiamo ri-pensando ma al più adattando - con qualche innesto - la solita struttura.
Oppure non si vuole dire esplicitamente che ben poco di quanto suggerito può essere davvero messo in piedi mantenendo inalterati i muri portanti della organizzazione. Un atteggiamento comprensibile, visto che non possiamo certo smantellare l’organizzazione esistente per rifare tutto daccapo, magari bloccando la produzione per qualche anno. Tuttavia, non possiamo neppure pensare di mettere il vino nuovo in otri vecchi, rischiando che il fermento del vino giovane rompa l’otre già provato da tempo. Dobbiamo effettuare un pit stop senza interrompere la corsa, certo: ma dobbiamo anche evitare di iniettare semi di disruption destinati comunque a creare rotture quando meno tre le aspetti.
E allora? Beh, direi che alcune cose vanno fatte.