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Approfondimenti Human Side Metrics

alcuni articoli scritti dal Prof. G.Siri

 

Ripensare l’organizzazione. Senza paura. – Parte 2

Parte 2/3 - A cura del Prof. Giovanni Siri

Leggi Parte 1 e Parte 3

Nell’articolo precedente abbiamo indicato tre linee di azione e gli obiettivi cui si deve ispirare (secondo la sintesi offerta recentemente da McKinsey) il modello di organizzazione necessario per le imprese di oggi per domani. Tuttavia, anche indicazioni piene di buon senso come queste sono lontane dal nocciolo del problema, ovvero la necessità di ripensare l’organizzazione.

Dunque, che fare?

Intanto smettiamola di difenderci dal pensiero dicendo che è solo una perdita di tempo. Quel making sense così spesso ormai invocato come una delle capacità chiave per i manager di oggi non può nascere senza una apertura mentale e culturale (ma sì, usiamo questa parola a lungo bandita dal linguaggio efficientistico), perché a ben vedere non c’è nulla di più pratico di una buona teoria (Lewin). Quindi comprendere il turning point organizzativo entro un quadro di mutazione sociale, storica, economica, tecnologica è indispensabile, non una perdita di tempo. C’è bisogno, a partire dai manager ma per tutti in azienda, di una ri-acculturazione che integri competenze e capacità, potenzialità e professionalità acquisita. Allo stesso modo è indispensabile correggere la cultura dell’io individuale per introdurre una cultura del noi e del team work, e una cultura della fiducia responsabilizzante rispetto a quella della diffidenza e del controllo su cui nasce l’azienda moderna.

In secondo luogo, affrontiamo davvero l’idea di “organizzazione flessibile”, assumendo che di fatto non possiamo rendere flessibile l’organizzazione esistente perché è nata avendo come fine l’esatto contrario: stabilità, regolarità, prevedibilità, programmazione, rigidità di regole. Nella nostra realtà attuale “organizzazione flessibile” è un ossimoro o una pia illusione e il tentativo verbale di introdurre reskilling di flessibilità rischia di tradursi in una illusione. Per pensare a una organizzazione flessibile bisogna ispirarsi a modelli diversi da quelli della fabbrica ottocentesca. In letteratura tre ne vengono proposti: gli organismi viventi ma non tanto il corpo umano quanto piuttosto gli alberi (guardatevi qualche video di Stefano Mancuso!) o le popolazioni come virus e batteri (si , proprio loro); le organizzazioni sociali polisemiche, in cui cioè si fondono i codici della razionalità, dell’affettività, del simbolico, come le cosiddette tribù primitive ma anche i gruppi di bambini o le comunità (interessanti quelle del primo cristianesimo, per esempio) o i gruppi di volontariato o le start-up; la psicologia sociale dei gruppi e la psicologia clinica; la storia evolutiva dell’uomo e le vere ragioni del suo successo evolutivo (che non stanno solo nella sua “intelligenza” come la visione moderna ci ha addestrato a pensare).

In terzo luogo, distinguiamo, nell’introdurre il re-making organizzativo, le diverse situazioni. Per esempio, un conto sono le imprese che nascono adesso e quelle già consolidate. Nel primo caso possiamo davvero, disponendo di un “otre nuovo” partire con il vino nuovo, mentre nell’altro caso dobbiamo trovare modo di far sì che cambiamenti interni modifichino anche l’otre ma in modo osmotico, evolutivo e non disruttivo. E poi occorre considerare anche il tipo di azienda, direi soprattutto con attenzione al rapporto tra componente umana e componente tecnologica da un lato, e tra organizzazione interna e relazioni esterne dall’altro. Ci sono aziende più “immateriali” di altre, e aziende più customer-depending di altre.

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