L’utilità della paura
L’utilità della paura
Gianfranco Siri
Conoscete già il tema dei “perils of perception”, vale a dire il tema della distanza tra ciò che si percepisce e ciò che di fatto i dati dicono, insomma la distanza tra il soggettivo e l’oggettivo. Che una società di conoscenza e comunicazione mai vista prima nella storia umana favorisca le credenze e a volte le superstizioni individuali piuttosto che consolidare un metodo di dialogo orientato a far emergere ciò che è vero e ciò che non lo è non è il minore dei paradossi della postmodernità.
Oggi vorrei sottolineare però un aspetto peculiare di questa “faccenda”, legato alla paura.
Prendiamo come casus narrativo la questione del climate change.
Anche per questa storia abbiamo picchi di opinioni che prevalgono sulla stabilità dei fatti accertati o accertabili. Sembra sia partita una deriva inarrestabile alla drammatizzazone del tema (diventato subito un “problema”), che porta la maggioranza delle fonti autorevoli e del common people a ritenere che:
- Il clima sta cambiando in modo rapido e anomalo, drammaticamente.
- La colpa di questo cambiamento è imputabile all’antropizzazione, particolarmente alle emissioni di CO2, dell’uso dei combustibili fossili.
- Occorre passare a fonti rinnovabili e a un orientamento dei consumi ecologista e ambientalista.
- A questi fini l’economia e i governi chiedono ai cittadini cambiamenti di stili di vita e uno sforzo economico maggiore (tasse).
- L’ONU degli adulti governatori del mondo si inchina ad una giovinetta vichinga che li rampogna accusandoli brutalmente di tradimento dell’umanità.
A fronte di tutto questo non pochi scienziati, climatologi, chimici, ecologisti, segnalano con poco ascolto che:
- Vero che l’aumento di temperatura media è in ascesa, ma con un andamento forse non così anomalo sui tempi lunghi del pianeta terra, aduso a queste oscillazioni ( è vero però che di questo fatto bisogna tenere conto: anche solo l’aumento di 1 grado medio ha ripercussioni decisive sull’equilibrio geo-antropologico).
- E’ possibile che le emissioni di CO2 contribuisca, ma non è così certo, e comunque è un po' frettolosamente dato per scontato, a quanto per ora si sa scientificamente, addossarle l’intero addebito dell’incremento delle temperature.
- Lo scioglimento dei ghiacci ai poli è in accelerazione, ma anche qui non saremmo dinnanzi ad una anomalia nella storia della terra.
- L’inquinamento aumenta la mortalità di migliaia di persone, particolarmente in alcune zone, ma per via dell’inquinamento dell’aria più che per effetti climatici
Greta sarà una eroina ma non appare particolarmente autorevole come geologo o climatologo.
- Se è vero che gruppi di scienziati fanno appelli alle Autorità planetarie per la diminuzione delle emissioni (comunque una buna cosa a prescindere dalla questione climatica) è pur vero che altri gruppi di scienziati esprimono ufficialmente circostanziate riserve sull’allarmismo del climate change.
- Dati scientifici attendibili e puntuali esistono solo da pochi decenni, un tempo breve rispetto alle estrapolazioni su ere geologiche e climatiche del pianeta.
In tutto questo il punto che sottopongo alla Vostra attenzione è la facilità con cui gli allarmismi (climate change, vaccini, ricerca di armi biologiche misteriose e minaccianti, effetti deleteri della digitalizzazione sulla salute. Immigrazione…) attecchiscono nel sentiment e nel pettegolezzo collettivo.
Sembra quasi che vivere in un regime di “paure” ci attiri irresistibilmente: ma perché
mai ciò dovrebbe accadere?
Una possibile risposta “da psicologo” viene dalla conoscenza di come funziona la nastra mente in regime di “emergenza/paura”. In quella modalità possiamo “smettere di pensare”, ovvero abbandonarci a reazioni emotive, e allo stesso tempo ricorrere alla socialità facile dell’effetto gregge (quando siamo tutti spaventati ci teniamo per mano l’un l’altro più facilmente). Inoltre l’emergenza legittima il ricorrere a qualche forma di re-azione invece che spingere ad una decisione critica che guida ad una azione mirata e responsabile. Insomma, invece di fare la fatica di pensare una complessità che temiamo di non padroneggiare e di elaborare una socialità dialettica scomoda e impegnativa, meglio rifugiarci nella logica del thriller che legittima il rimando della comprensione razionale e responsabile.
Per le stesse ragioni anche la politica preferisce governare in emergenza, e l’economia imporre nuove fonti di business: come prima la moda ci faceva cambiare cose ancora perfettamente funzionali, oggi l’emergenza della paura ci fa accettare nuove tasse e riorientamenti di consumi a favore delle nuove source of business. Ovviamente ciò non significa che esistano cambiamenti cui occorre far fronte: possibilmente non da pecore ma da persone, però.
Ma, si sa, gli psicologi non capiscono la realtà, complicano sempre inutilmente le
cose… O almeno così ci inducono a pensare: come per il clima, acriticamente.