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Non si vive di solo pane

A cura del Prof. Giovanni Siri

Tra le diversità italiane una particolarmente autolesionista, e particolarmente oggi, è la separazione tra accademia (intesa come ricerca) e affari (cioè le aziende).

Nella prospettiva accademica italiana la ricerca deve essere “pura”, e gli accademici (di cui ho fatto parte per una vita) non devono farsi inquinare dal mondo degli affari che non ama la verità ma solo l’utile, non devono “abbassarsi” a quel livello. Le cose non vanno meglio dal punto di vista delle aziende, anzi qui la diffidenza è duplice: “cosa vuoi che ne sappiano quelli lì in concreto di come si conduce un'impresa, sono astratti e poco utili di fatto per i nostri problemi”, e “vengono da noi solo perché sono in cerca di soldi, non sono in grado di darci qualcosa di realmente utile, ma solo di succhiarci un po' di denaro”.

Lo scambio tra i due mondi avviene, ma solo in forme superficiali e non strategiche: formazione, conferenze, qualche evento… come per due tribù separate, che si scambiano qualche dono ogni tanto per non farsi la guerra. Realtà che hanno costruito fortune su questo scambio, come la Bocconi dal lato accademico o McKinsey o Deloitte sul fronte aziendale, sono riuscite a mischiare i due livelli ma senza mai davvero riuscire a fonderli, se non nel caso in cui qualche accademico ha saltato il fosso ed è diventato uomo di azienda. È una situazione italiana, discorso diverso per il mondo anglosassone o anche francese.

Ma oggi questo essere separati in casa è davvero un handicap non più tollerabile.

Perché oggi? Perché il turning point in cui ci troviamo impone alle imprese di focalizzare e organizzare il lato umano dell’azienda in modo davvero innovativo, e lo impone perché ciò che ci permetterà di navigare la complessità e muoverci nell'incertezza saranno le qualità specificamente umane di individui e gruppi di lavoro, in un legame di identificazione e coinvolgimento con la visione e il purpose dell’impresa con cui cooperano ad una società migliore. Una relazione che potrà essere più flessibile fisicamente ma che proprio perciò richiederà una relazione più intensa e profonda, più interiorizzata ed autonomizzante.

Ma le aziende non hanno mai dovuto imparare a organizzare il fattore umano nelle sue dimensioni più specificamente umane, relazionali, cognitive ed emotive. Non era necessario: l’importante era organizzare i processi, la gestione finanziaria, il marketing, il magazzino e così via. Le persone si inserivano in questi flussi e ruoli centrati sulla “macchina produttiva” come variabili dipendenti, un atteggiamento naturale nel momento in cui l’efficienza produttiva era la chiave del successo.

Oggi però a questa aspetto (hard) si deve affiancare l’aspetto relativo al fattore umano (soft), si deve prendere atto che le imprese sono non solo società di produzione ma anche società di persone. E perché mai? Perché la sfida oggi si vince attingendo alle capacità e non solo alle competenze, ai talenti e non solo agli skills.

È un tema che ho già trattato e su cui sto scrivendo un libro, non è qui il caso di ripetermi. Quello che intendo dire è che in questa fase le aziende hanno un maledetto bisogno di esperti delle scienze sociali, studiosi e professionisti che hanno sviluppato sapere e metodi per “vedere” il lato umano. Persone che sappiano aiutarvi a vedere l’azienda sotto la prospettiva di un insieme di persone in relazione, legati all’azienda, impegnati a trovare la sintesi tra vita e lavoro, capaci di generatività se posti nelle condizioni di farlo.

Oggi questo viene in parte delegato a formazione, coaching, attività varie legate ai gruppi… noi crediamo che questo non basti.

Come accaduto dall’800 per le variabili hard anche qui occorre rendere queste dimensioni chiare e operativamente gestibili, e nella fase critica in cui ci troviamo non c’è il tempo né di aggiornare la cultura dei manager né tantomeno di
cambiare la testa degli accademici. Per questo, pur operando nella formazione e nel coaching formativo, puntiamo su una strada diversaoffrire alle aziende strumenti immediatamente operativi e al tempo stesso capaci di oggettivare e monitorare le dimensioni qualitative human sided dell’impresa. In modo tale da apprendere questo human side facendo, mettendo già in cantiere iniziative oggi necessarie.

Questo progetto nasce sotto il titolo di Human Side Metrics: una metrica che non serve a ridurre le persone a numeri ma a rendere visibili e gestibili gli aspetti che oggi ci premono ma che in azienda siamo poco abituati a vedere.

E, per favore, provate a credere che questi “prodotti” non nascono in primis dalla voglia di vendervi qualcosa, ma di aiutare l’evoluzione di quelle aziende da cui dipende anche molto del nostro futuro. Sentirsi utili e fare qualcosa di oggi importante è una buona motivazione, ap-pagante. Perché, appunto, non si vive di solo pane.

  SCOPRI HUMAN SIDE METRICS  

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