Un nuovo modello di "Daiversiti e Incluscion"
A cura di Renè Tonelli
Non posso stare zitto. Devo dirlo. Basta.
Basta vedere la “Daiversiti” e “l’Incluscion” come contenitori di mille colori, manine che si alzano verso il cielo ed immagini retoriche, stucchevoli e buoniste cercate su internet e realizzate da chi non ha la minima idea di come siano realmente le aziende. Basta parlare di Diversity&Inclusion solo come una cosa “buona e giusta” da fare.
Eh sì, perché il concetto trainante, imperante è che "le persone, poverine, vadano aiutate”. Quale diventa allora in questo caso, molto spesso, la ricetta? Metterci qualcuno che se ne occupi, affibbiandogli un titolo e regalandogli un ufficio. Ecco la figura aziendale, spesso di cartone, del Diversity&Inclusion Manager, che nella maggioranza dei casi non è altro che un povero ministro senza portafoglio. Questa è la modalità miope di guardare alla Diversity&Inclusion come qualcosa di semplicemente “giusto” o, peggio, paternalistico. C’è bisogno di scardinare quelle convinzioni limitanti per cui l’inclusione è vissuta come un “dovere, ma marginale” o peggio un “problema da risolvere”.
Il mondo in cui viviamo, con il quale ci relazioniamo, con cui facciamo business e a cui parliamo è già la Diversity: non considerare oggi in senso ampio questo aspetto significa lasciare che le aziende restino indietro su questi temi. Occorre l’intelligenza emotiva di cambiare l’ordine delle cose, di essere l’origine della scelta che porta un’azienda a puntare decisamente verso una crescita propria, delle proprie persone, dell’intera società, realmente e autenticamente integrativa e inclusiva.
Le aziende, al di là di porre l’ipocrita spunta in ottica di sostenibilità sui temi della diversità e dell’inclusione, dovrebbero chiedersi davvero in che modo possano fare una sostanziale differenza. Una gestione della forza lavoro centrata sulla promozione e la valorizzazione delle diversità garantisce elementi d’innovazione (di prodotto, ma anche di processo e di pratica aziendale) che possono fare emergere un’azienda e darle un vantaggio competitivo nel mercato. Un’azienda davvero focalizzata al di là dell’apparenza conosce i problemi per tempo, e imposta strategie di lungo corso capaci di mutare in meglio la cultura aziendale.
In tema di Diversity&Inclusion diventa sempre più necessario trasmettere il messaggio corretto. La società civile continua a proporre un modello apparentemente efficace, incapace però di generare un autentico cambiamento. La diversità è concepita adottando strategie di inserimento compensativo che hanno l’unico risultato di enfatizzare e cristallizzare le differenze. Serve un nuovo modello di inclusione, innovativo e veramente trasformativo, capace di concepire la diversità come vera integrazione. Che non significa ignorare ciò che diverge: anzi vuol dire prendere coscienza, studiare ed essere consapevoli delle reciproche differenze. Proprio questo, incredibilmente, ci permette di agire affinché tali differenze diventino impercettibili! Ecco il cambio potente di paradigma tra differenza e diversità.
Per rispondere a queste esigenze e aiutare le aziende a compiere questo processo, Execo ha pensato "Gestire la diversità o vivere le differenze? - Visto da vicino nessuno è normale", un percorso tras-formativo per un cambio di sguardo sulla diversità. Il percorso, tenuto da Renè Tonelli, vuole essere un acceleratore, un «booster» di efficacia e un «radar» di nuove opportunità: dalle difficoltà, ma anche da situazioni all’apparenza inamovibili, possono nascere delle opportunità nascoste e dalle piccole cose possono emergere delle grandi soluzioni! Occorre soltanto cambiare l’orientamento del proprio sguardo strategico!
PER APPROFONDIRE
Dall’autore del best seller che ha ispirato il percorso trasformativo Perché i piccoli sono più forti dei grandi? Trasformare gli svantaggi in strategie vincenti vi suggerisco il nuovo libro di uno degli intellettuali più influenti del XXI secolo.
“Il dilemma dello sconosciuto” di Malcolm Gladwell è un libro cruciale. La nostra vita in mezzo a una folla di estranei non è sempre facile. Anche se parliamo la stessa lingua, capirsi tra persone può essere complicato, se dell’altro non conosciamo la storia, la cultura, il senso dell’umorismo. E darsi, poi: come si fa a decidere se dice la verità, è affidabile, condivide i nostri sentimenti? Pubblicato l’anno scorso negli Stati Uniti, ai vertici di tutte le classifiche dei bestseller, in questo saggio meraviglioso l’autore ribalta i nostri pregiudizi mostrandoci come le strategie che usiamo per giudicare gli estranei non sono raffinate come pensiamo, ma poco più che letture superficiali, soggettive e terribilmente fragili. La verità è che, se abbiamo bisogno di capire gli sconosciuti, non siamo, tuttavia, per niente bravi a farlo. Tutti ci barcameniamo in una missione forse impossibile ma necessaria: vivere nella società, collaborare con gli altri, spesso sconosciuti. E quando, inevitabilmente, qualcosa va storto? Poco male, ci spiega Gladwell. Quando tutte le armi a nostra disposizione si rivelano inadeguate, finiamo per usarne un’ultima, tanto umana quanto meschina: piuttosto che ammettere di non saper giudicare, preferiamo abbassare la soglia del sospetto e aumentare la distanza dagli altri, rovesciando tutta la colpa sullo sconosciuto.